Un grande collector, tra i massimi esperti d’arte povera, aveva deciso di trasformare in giardino il cortile milanese davanti alla sua nuova abitazione-galleria.
I giardini di città hanno un problema: sono circondati dai condomini. E un’esigenza: non doverli vederli e non farsi vedere. Doveva poi essere un giardino leggero e mobile: per non aggiungere mura ai muri delle case intorno. E poi rapportarsi a una residenza modernista, ricavata da una vecchia cartiera, pura nelle sue linee rette e nel nitore dell’intonaco. La prima esigenza è stata risolta innalzando una selva di bambù a far da barriera mobile; la seconda, raccogliendoli in aiuole sinuose. Il filo della coerenza nella contemporaneità è stato mantenuto col metallo a contenere i bordi delle aiuole e con i grafismi della pavimentazione tecnologica sui sentieri tra i bambù. Il rapporto apparentemente contraddittorio tra gli angoli retti della casa e quelli curvi del giardino ha creato invece una forte tensione estetica: la casa è rimasta contenitore di vita, il giardino di sogni. Un angolo d’oriente in una città d’occidente. Un rifugio colto in una jungla inquieta. Il mimetismo dei bambù ha infine consentito di trovare spazio alle funzioni: parcheggi, ingressi, angoli di gioco, possibilità di ricevere all’aperto. Adesso il giardino cresce libero, salendo in altezza come una foresta pluviale nel mezzo di Milano.